Oggi me la prendo comoda e blatero un po' sull'essere e il sentirsi una designer di maglia professionista, cosa che, chiariamo subito, io non mi sento assolutamente.
Vi confesso che parte di queste riflessioni sono scaturite dai video della serie
#coglioneno e dalle varie
polemiche che sono nate tutto intorno.
Sempre più spesso mi viene fatta (o leggo sul web), un genere di domanda che riassumo così: "ma di maglia si può vivere?".
La mia opinione è che di maglia si può vivere -
molto modestamente- integrando tutta una serie di attività legate ad essa: creare modelli per le ditte o da vendere direttamente a privati tramite portali dedicati (
www.ravelry.com o
www.etsy.com), tenere corsi e workshop brevi, vendita di capi e accessori finiti e, se si decide di fare il grande salto, vendita di filati e accessori.
Ora, va tutto bene fino a quando si gioca, meno quando io con questa attività ci devo portare a casa una pagnotta.
L'aspetto che vorrei analizzare oggi è l'attività di designer indipendente: come già sapete negli ultimi anni anche in Italia -finalmente- stanno operando figure freelance di questo genere.
Quando una designer di può definire tale?
Quando pubblica il suo pattern?
Quando qualcuno lo scarica?
Quando qualcuno lo acquista?
Quando le ditte la chiamano per commissionare lavori?